Era il 3 luglio 1969 quando le strade della periferia torinese, in particolare quelle attorno a Corso Traiano, si trasformarono in un campo di battaglia. Migliaia di operai e studenti scesero in piazza in una protesta accesa, innescando uno degli scontri urbani più duri del secondo dopoguerra. Quella giornata, diventata simbolo, segnò un punto di svolta nella storia del movimento operaio italiano e della città di Torino.
L’evento scoppiò in un clima già rovente. Il malcontento tra le fabbriche di Mirafiori, cuore industriale della FIAT, era palpabile: scioperi spontanei, salari bloccati, condizioni abitative precarie e un crescente malessere per gli affitti e gli sfratti spinsero gli operai a organizzarsi in maniera autonoma, al di fuori delle sigle sindacali tradizionali. A guidare la protesta, un’Assemblea operai-studenti, un’alleanza inedita che portò in strada l’indignazione di due mondi fino ad allora distanti.
Durante il corteo, la tensione con le forze dell’ordine esplose in violenti scontri. Le barricate vennero improvvisate con cassonetti, pietre e materiali di fortuna. La polizia rispose con lacrimogeni e cariche. La protesta, inizialmente circoscritta, si estese anche a Moncalieri e Nichelino, travolgendo l’intera cintura sud della città.
La “battaglia di Corso Traiano” ebbe conseguenze profonde. A livello politico e sociale, rappresentò il battesimo del fuoco per gruppi extraparlamentari come Potere Operaio e Lotta Continua, che trovarono in quella rivolta l’energia per strutturarsi, aprire sedi e dare voce – anche editoriale – a una nuova classe sociale: l’“operaio massa”, spesso migrante, poco scolarizzato, ma centrale nella produzione.
A distanza di oltre 50 anni, quella giornata resta una ferita e un simbolo. Un momento spartiacque che ha fatto della Torino del ’69 un laboratorio di conflitto, ma anche di consapevolezza politica e culturale, capace di interrogare ancora oggi i rapporti tra fabbrica, città e diritti sociali.
