TORINO – È il 3 giugno 2017, una serata attesa da migliaia di tifosi. Sul maxischermo allestito in piazza San Carlo, cuore storico e simbolico della città, sta per iniziare la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid. Circa 30.000 persone si sono radunate per assistere all’evento, in un clima di entusiasmo e grande partecipazione.
Ma quella che doveva essere una festa sportiva si trasforma in una tragedia.
Il panico e la fuga
Intorno alle 22.15, poco dopo un gol del Real Madrid, un rumore improvviso – probabilmente causato dallo scoppio di alcuni petardi o da un tentativo di rapina con spray urticante – provoca un’ondata di panico. La gente comincia a correre, urla, cade. La paura di un attentato terroristico, in un periodo segnato da attacchi in diverse città europee, alimenta il caos.
Nel fuggi fuggi generale, transenne, bottiglie di vetro e ostacoli urbani si trasformano in trappole. La pavimentazione bagnata peggiora la situazione. Le ambulanze faticano a farsi strada tra la folla. Il bilancio è drammatico: oltre 1.600 feriti, alcuni in condizioni gravi. Due donne perderanno la vita a causa delle conseguenze riportate.
Le vittime
Erika Pioletti, 38 anni, di Domodossola, muore pochi giorni dopo l’evento a causa delle gravi lesioni riportate nella calca.
Marisa Amato, 65 anni, colpita e travolta nella ressa, rimane tetraplegica e morirà nel 2019 a seguito delle complicazioni legate alle ferite di quella notte.
I loro nomi sono diventati il simbolo di una tragedia che ha segnato per sempre la memoria collettiva torinese.
Le responsabilità e il processo
Nei mesi successivi, la magistratura avvia un’indagine complessa. Vengono messi sotto accusa l’organizzazione dell’evento, il piano sicurezza, e le misure di emergenza. Nel 2021 arriva la sentenza: diversi amministratori e funzionari pubblici, tra cui l’ex sindaca Chiara Appendino, vengono condannati per disastro, lesioni e omicidio colposo. Viene riconosciuta una mancanza nella gestione del rischio e nella predisposizione delle vie di fuga e dei soccorsi.
Parallelamente, viene identificata e condannata anche una banda di rapinatori, responsabile dell’uso di spray urticante che avrebbe innescato la prima ondata di panico.
Il ricordo
Ogni anno, il 3 giugno, piazza San Carlo diventa luogo di raccoglimento e memoria. Cerimonie ufficiali, fiori, silenzi e abbracci. La città si ferma per ricordare Erika e Marisa, per non dimenticare chi ha sofferto, e per rinnovare l’impegno verso una maggiore sicurezza nei grandi eventi pubblici.
Quella notte, Torino ha perso l’innocenza. E ha imparato, con dolore, che anche una piazza familiare può trasformarsi in un luogo di tragedia. Ma ha anche mostrato la forza della solidarietà, dell’umanità che soccorre, che si rialza, che ricorda.
